Il ministro Franceschini, i direttori dei musei e l’ospedale di Melegnano

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Come è noto, il servizio antidiscriminazione e i soci ASGI stanno battendo a tappeto tutti i bandi pubblici per assunzioni alle dipendenze di PA per ottenere, in attesa di una completa attuazione della convenzione OIL 143/75, quantomeno il rigoroso rispetto dell’art. 38 D.lgs. 165/01 nella parte in cui consente l’accesso al pubblico impiego, a parità di condizione con i cittadini comunitari, anche di alcune categorie di cittadini extra UE, peraltro ormai maggioritarie. In questo lavoro di pedante “correzione dell’azione pubblica” (http://www.dev.asgi.it/notizia/lasgi-la-parita-e-la-correzione-dellazione-pubblica/) si incontrano molti “pentimenti” di pubbliche amministrazioni distratte, ma talora anche risposte fantasiose (e fastidiose, per la loro superficialità). E’ quanto accaduto ad esempio con l’Ospedale di Circolo di Melegnano (MI) che, dovendo instaurare un rapporto di collaborazione professionale (non di lavoro dipendente) con un cardiologo, ha richiesto “il possesso della cittadinanza italiana o della cittadinanza di uno dei Paesi dello spazio economico europeo”. Di fronte ai rilievi di ASGI, l’Ospedale ha risposto che “non esistono disposizioni legislative univoche sull’argomento” e che “la natura delle attività richieste al libero professionista cardiologo implicano l’esercizio di una funzione pubblica e quindi di pubblici poteri” (Bando, lettera ASGI e risposta Ospedale di Circolo di Melegnano). Ha però omesso di considerare che nessuna norma di legge consente limitazioni per l’instaurazione di rapporti di lavoro autonomo e che l’ammissione alla selezione dei cittadini comunitari già di per se esclude che si possa far questione di pubblici poteri (se vi fosse esercizio di potestà pubbliche, neppure un francese o un tedesco potrebbero essere ammessi); ma soprattutto ha omesso di spiegarci quali sarebbero i pubblici poteri attribuiti al nostro specialista cardiologo (tanto più se libero professionista). Il caso dell’Ospedale di Melegnano non è peraltro isolato: già in passato altre amministrazioni pubbliche avevano dato risposte del medesimo tenore affermando ad esempio (è il caso del Comune di Vanzago-MI) che un istruttore amministrativo eserciterebbe pubbliche funzioni e lo stesso (una ASL di Milano) un medico addetto al consultorio.

Viste le novità delle ultime ore, forse queste amministrazioni dovrebbero chiedere lumi sul punto al Ministro dei beni culturali Franceschini. Ha suscitato infatti grande clamore la notizia della nomina a direttore di 7 musei di rilevanza nazionale di altrettanti cittadini stranieri. Clamore certo comprensibile per l’esito finale della selezione, ma giuridicamente del tutto ingiustificato. Già il relativo bando di concorso, a firma del direttore Generale dott. Gregorio Angelini, legittimava infatti questa ipotesi, in quanto non prevedeva alcun requisito di cittadinanza né italiana, né comunitaria: sicché è solo un caso che i 7 prescelti siano comunitari, giacché – a norma di bando – ben avrebbero potuto essere statunitensi o indiani o di qualsiasi altro paese.

Eppure ai sensi dell’art. 6 del bando l’incarico di direzione viene affidato ai sensi dell’art. 30, comma 6 DPR 29.8.14 n. 171; detta norma a sua volta prevede che gli incarichi in questione siano conferiti ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 19 D.lgs. 165/01, quindi con rapporto di lavoro subordinato pubblico a tempo determinato, soggetti pertanto alle medesime limitazioni alle quali è soggetto l’Ospedale di Melegnano (quelle previste dall’art. 38 D.lgs. 165/01 e dal DPCM174/94). Si dirà: forse per i musei c’è una norma speciale. Nient’affatto: non solo non c’è alcuna norma speciale, ma persino il recente comma 2bis dell’art. 14 Dl 31.5.2014 n.83 convertito in L. 29.7.14 (in materia di beni culturali) che ha disciplinato questi contratti di direzione “al fine di adeguare l’Italia agli standard internazionale in materia di musei…” nulla ha modificato in materia di requisiti di cittadinanza, che quindi restano gli stessi previsti per tutta la pubblica amministrazione. E allora si dirà: magari quello del museo è un direttore “sui generis”, senza effettivi poteri pubblici. Nient’affatto. Il bando ci conferma che il direttore del museo “programma, indirizza, coordina e monitora tutte le attività di gestione del museo”, stabilisce l’importo dei biglietti di ingresso e gli orari di apertura, autorizza il prestito dei beni del museo per mostre esterne, autorizza la pubblicazione dei materiali esposti nel museo, stipula convenzioni, dispone l’affidamento delle attività dei musei a terzi, svolge le funzioni di stazione appaltante. Tutti “poteri” che uno specialista cardiologo non deve e non può certamente esercitare. Non solo, ma i 7 selezionati avranno comunque la qualifica di dirigente pubblico (che il cardiologo di Melegnano non avrà) e il citato DPCM del 1994, stando alla sua formulazione letterale, indica come posti di lavoro esclusi dalla apertura agli stranieri tutti (si, proprio tutti) i posti di lavoro dei livelli dirigenziali. Cosa è accaduto allora? Inaspettata e illegittima insubordinazione di Franceschini di fronte a un decreto del governo un po’ vecchiotto, ma pur sempre vigente? Ha dunque ragione l’Ospedale di Melegnano? No, ovviamente ha ragione Franceschini. Perché di quel risalente DPCM occorre dare inevitabilmente una interpretazione conforme a quanto ci dice da anni la Corte di Giustizia (CGE) e cioè che, in materia di restrizioni nell’accesso al lavoro, le nozioni di pubblico potere e pubblica funzione devono essere interpretate in modo assolutamente restrittivo, limitandole ai casi in cui il relativo esercizio è continuativo e prevalente ed esprime effettivamente una potestà pubblica (si veda da ultimo CGE n. C-270/13 del 10 settembre 2014 che ha escluso l’esercizio di pubblici poteri nella funzione di direzione del porto di Brindisi http://www.dev.asgi.it/banca-dati/corte-di-giustizia-dellunione-europea-sentenza-del-10-settembre-2014-causa-c%E2%80%9127013/): prevalenza e continuità che certo non si riscontrano né nel ruolo di cardiologo di Melegnano, né in quello di impiegato del Comune di Vanzago, come neppure in quello di direttore degli Uffizi.

Certo è che la vicenda dei musei è assolutamente paradossale e ci dà il quadro di un paese che ogni tanto è capace di rompere i protezionismi campanilistici e contemporaneamente è ripiegato (in un Ospedale e un Comune della dinamica pianura lombarda, ma chissà in quanti altri casi ancora) su una nozione ottocentesca di pubblica amministrazione. E altrettanto certo è che il diritto dei cittadini extra UE ad accedere al lavoro pubblico non può essere affidato all’arbitrio o alla buona volontà di questo o quel Ministro, sindaco, assessore o dirigente. A più di vent’anni di distanza l’elenco dei posti di lavoro esclusi dalla apertura agli stranieri contenuto nel DPCM 174/94 va quindi assolutamente e radicalmente rivisto in conformità alle indicazioni della CGE e con indicazioni precise, che azzerino ogni possibilità di arbitrio. Non ci rimane che confidare in Franceschini.

(avv. Alberto Guariso – agosto 2015)

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