Audizione ASGI in Commissione Bilancio sul decreto legge 124/2023

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ASGI: “L’incremento – davvero notevole – dei termini di trattenimento si ritorce esclusivamente in danno dello straniero, senza apportare effetti utili concreti e con costi rilevanti per la finanze pubbliche. I giudici nazionali potrebbero sollevare questioni di legittimità costituzionale o questione pregiudiziale d’interpretazione avanti la Corte di giustizia dell’Unione europea”.

Pubblichiamo il testo del contributo ASGI inviato alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, nell’ambito dei lavori di conversione del Decreto legge 124/2023 che prevede l’estensione fino a 18 mesi della detenzione degli stranieri nei Centri per i Rimpatri (CPR).


Alla Commissione bilancio della Camera dei Deputati 

Roma

Oggetto: Osservazioni scritte formulate dall’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI)  nell’ambito dell’esame del disegno di legge C.1416, di conversione in legge del D.L. 124/2023 

Spettabile Commissione, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), in ottemperanza all’invito di cui all’oggetto, formulato dall’Ufficio di presidenza della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati  in data 27 settembre scorso, si pregia di produrre le seguenti osservazioni scritte, limitatamente all’art. 20 del Decreto legge n. 124/2023 relativo  alla modifica dei termini di trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri di cui all’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/98. 

1. Occorre premettere che il trattenimento dei cittadini di Paesi terzi nei Centri per i rimpatri (di seguito C.P.R.) è una misura amministrativa disposta dal questore finalizzata esclusivamente ad evitare che lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento si sottragga all’esecuzione di tale provvedimento, quando l’esecuzione dello stesso non possa essere eseguita con immediatezza per le ragioni indicate all’art. 14, co. 1, d.lgs. 286/98. Il trattenimento non ha quindi alcuna finalità sanzionatoria né di prevenzione generale dell’ordine e sicurezza pubblica. Per costante giurisprudenza costituzionale ( sentt. n. 105/2001, n. 222/2004, n. 275/2017) il trattenimento amministrativo è misura incidente sulla libertà personale e, pertanto, soggiace al rispetto della riserva di legge e di giurisdizione di cui all’art. 13, co. 2, Cost.

2. L’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/98 prescrive i termini massimi della durata temporale del trattenimento amministrativo. Prima della novella di cui all’art. 20, D.L. 124/2023 le cadenze del trattenimento finalizzato all’espulsione o al respingimento (lasciando in disparte la disciplina del trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, non interessata dal D.L. in conversione) la legge prevedeva che la convalida del giudice di pace legittimasse il trattenimento per 30 gg., successivamente prorogabili di altri 30 gg. in presenza di gravi difficoltà per l’accertamento dell’identità/nazionalità del straniero o per l’acquisizione dei documenti per il viaggio. Tale termine poteva essere ulteriormente prorogato, entro il limite massimo di 90 gg. qualora l’amministrazione dimostrasse al giudice che fosse imminente l’esecuzione dell’espulsione. Infine, se lo straniero fosse stato cittadino di un Paese con cui l’Italia avesse sottoscritto accordi di rimpatrio, si poteva concedere un’ulteriore proroga di 45 gg. In sostanza, la legge previgente prevedeva un sistema a geometria variabile per cui con il passare del tempo si restringeva la possibilità di prorogare la detenzione amministrativa, al fine di non fare ricadere le conseguenze dell’eventuale inattività dell’amministrazione sulla restrizione della libertà personale dello straniero.

3. Ora, l’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/98 di nuovo conio triplica il termine di permanenza conseguente alla convalida giudiziale, portandolo da 30 gg. a 3 mesi, consentendo una proroga di ulteriori 3 mesi in presenza delle medesime condizioni per cui nella versione previgente si consentiva una prima proroga di 30 gg.   Il termine “ordinario” è pertanto di sei mesi (il doppio di quello precedente), che può essere ancora prorogato – per ulteriori periodi di 3 mesi per volta – entro il termine complessivo di altri 12 mesi, quando l’operazione di allontanamento sia durata più a lungo a causa della mancata collaborazione dello straniero alla sua espulsione, ovvero a causa dei ritardi nell’ottenimento della documentazione necessaria dai Paesi terzi. Il termine massimo può dunque arrivare a 18 mesi di privazione della libertà personale dello straniero da allontanare. Se, nonostante il decorso di tale termine, l’amministrazione non riesce  a dare esecuzione ai propri provvedimenti di espulsione o respingimento differito, il questore ordina allo straniero di allontanarsi entro il termine di 7 gg. Cioè di autoespellersi

4. Le condizioni legittimanti il nuovo sistema di proroga del trattenimento, in particolare quella della mancata cooperazione dello straniero, che giustifica una proroga fino a 12 mesi del trattenimento, impone una attenta riflessione. Infatti, l’unico modo che uno straniero ha di collaborare con l’amministrazione italiana al fine di consentire il suo allontanamento, è quello di produrre il suo passaporto. Delle due l’una: o il passaporto non ce l’ha, e allora lo si può trattenere all’infinito, ma non potrà mai collaborare, oppure ne è in possesso, ed allora ha tutto l’interesse a produrlo subito, e non dopo aver trascorso 6 mesi in detenzione amministrativa. In tal caso è concreto il rischio che il trattenimento diventi una sanzione punitiva, senza reato … e senza processo. Ma in tal modo si stravolge la funzione del trattenimento prevista dalla legge e dal diritto unionale (direttiva 115/2008/CE) cui la legge nazionale deve conformarsi ai sensi dell’art. 117 Cost. Invece, quanto ai ritardi nell’ottenimento della documentazione da parte dei Paesi terzi – in sostanza il lasciapassare che consente all’amministrazione italiana di avere la certezza che lo straniero accompagnato coattivamente alla frontiera sarà accettato dalla polizia di frontiera del Paese terzo – è noto che la collaborazione con i consolati dei Paesi extraeuropei funziona solo se vigono specifici accordi di riammissione, in assenza dei quali lo straniero trattenuto nulla può fare. In buona sostanza l’incremento – davvero notevole – dei termini di trattenimento si ritorce esclusivamente in danno dello straniero, senza apportare effetti utili concreti e con costi rilevanti per la finanze pubbliche.

5. Altro aspetto su cui merita soffermarsi è relativo alla effettiva necessità e urgenza di rivedere così drasticamente i termini del trattenimento amministrativo. Uno sguardo ai numeri può essere utile. Secondo i dati riportati nella relazione al Parlamento 2023 del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, nel corso del 2022 sono state trattenute nei CPR italiani 6.383 persone, di queste sono state effettivamente rimpatriate 3.154, pari al 49,4%. Consegue che solo la metà delle persone trattenute viene effettivamente rimpatriata. E’ inoltre utile considerare che delle 3.154 persone rimpatriate ben 2.308 erano cittadini tunisini, il che dimostra – al di là di ogni ragionevole dubbio – che gli accompagnamenti si effettuano quando, come nel caso della Tunisia, c’è la collaborazione dei Paesi terzi, diversamente i rimpatri sono difficilmente eseguiti, indipendentemente dalla durata del trattenimento. Consegue che il rapporto costi/benefici della detenzione amministrativa è deficitario. D’altronde, costituisce dato di comune esperienza, a detta anche dei funzionari degli uffici immigrazione delle questure italiane, che una persona straniera o si riesce ad identificarla entro due o tre mesi, oppure il trattenimento diventa inutile, e quella persona occupa un posto che potrebbe essere meglio occupato da altri. Il che, dal punto di vista meramente gestionale, dimostra che il ritardo nel turnover non è produttivo dei risultati che si intendono perseguire (cioè il rapido allontanamento effettivo delle persone che debbono essere espulse dall’Italia). Si consideri, infine, che ai sensi dell’art. 15, paragrafo 4, la Direttiva 2008/115/CE prescrive che “Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o altri motivi … il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”. Peraltro, anche l’art. 14, co. 5 bis, d.lgs. 286/98 ( non modificato dal D.L. n. 124/2023) impone che il questore disponga l’ordine di auto-allontanamento allo straniero nel termine di 7 gg. quando “dalle circostanze concrete non emerga più alcuna prospettiva ragionevole che l’allontanamento possa essere eseguito e che lo straniero possa essere riaccolto dallo Stato di origine o di provenienza”. Consegue che il rilevante incremento dei termini di trattenimento sia inutile anche sotto il profilo normativo, posto che – indipendentemente dalla durata massima di tali termini – l’amministrazione prima, e il giudice in sede di proroga, hanno l’obbligo di far cessare il trattenimento qualora sia evidente che non sussistono ragionevoli prospettive di allontanamento, e, quindi, di non occupare inutilmente un posto nel C.P.R. che comporta rilevanti sacrifici per il trattenuto e rilevanti esborsi finanziari da parte dell’amministrazione. 

6. L’incremento dei termini in questione potrebbe rilevare profili di criticità con riferimento alle differenze tra l’ordinamento interno e la direttiva 2008/115/CE. Non è questa la sede per approfondire tecnicamente questa questione: sarà sufficiente por mente al fatto che, mentre la direttiva citata prevede, in linea generale, che le procedure di allontanamento vengano preferibilmente disposte mediante la concessione di un termine per la partenza volontaria e il trattenimento sia l’extrema ratio, la normativa italiana di recepimento prevede la partenza volontaria come eccezione e non come regola. Orbene, dovrebbe essere intuitivo come esista un rapporto di diretta proporzionalità tra la durata del trattenimento e la rilevanza della violazione del diritto unionale, nel senso che maggiore è il tempo di restrizione della libertà e maggiormente rileva il contrasto con le previsioni di cui alla citata direttiva. La conseguenza potrebbe essere che, a fronte di un tempo di limitazione della libertà personale fino a 18 mesi, i giudici nazionali potrebbero sollevare questioni di legittimità costituzionale per preteso contrasto tra i due ordinamenti, ai sensi dell’art. 117 Cost. Ovvero, potrebbero sollevare questione pregiudiziale d’interpretazione avanti la Corte di giustizia dell’Unione europea affinché verifichi se sia conforme al diritto dell’Unione la legge italiana che, sovvertendo l’ordine della direttiva, preveda come ordinario il trattenimento ed eccezionale la concessione del termine per la partenza volontaria.

7. Infine, l’aumento a 18 mesi del termine massimo di trattenimento potrebbe maggiormente evidenziare la dubbia costituzionalità dell’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/98, come novellato, con l’art. 13, co. 2 Cost. Invero, com’è noto, la citata disposizione costituzionale prevede che non solo i casi, ma anche i “modi” della restrizione della libertà personale debbono essere disciplinati per legge. Ebbene, siccome alcun atto normativo avente forza di legge disciplina in Italia i “modi” del trattenimento ( essendo tali modi disciplinati blandamente da atti meramente regolamentari, che, in quanto tali, non hanno forza di legge), un aumento dei termini di detenzione amministrativa così macroscopicamente elevati acuirebbe il paventato contrasto della disposizione novellata con art. 13, co. 2, della Carta costituzionale e potrebbe indurre i giudici  nazionali a sollevare questioni di legittimità costituzionale. Insomma, più il tempo della privazione della libertà è maggiore – e non circoscritto nel tempo breve – e più i nodi vengono al pettine.

8. In conclusione, la scrivente associazione osserva che – allo stato – sarebbe opportuno non dilatare in modo così marcato e improvviso i termini del trattenimento amministrativo. E’ materia delicata, quella della libertà personale, che va maneggiata con cura e andrebbe eventualmente rivisitata nell’ambito di una riforma organica dell’intero settore e non con una disposizione isolata, ricorrendo alla decretazione d’urgenza. 

Torino, 4 ottobre 2023

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