Il gioco dell’oca del Prefetto di Bologna sui richiedenti asilo

una rete e le persone sfocate sullo sfondo

ASGI denuncia : “L’ordinanza emessa dal Prefetto di Bologna viola manifestamente i principi affermati dalla Corte costituzionale, in quanto è a tempo indeterminato e i criteri con i quali ha selezionato i richiedenti asilo da espellere immediatamente dal sistema accoglienza sono totalmente discriminatori”.

Il 29 luglio 2023 il Prefetto di Bologna ha emesso un’ordinanza di necessità e urgenza a tutela “dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”, ai sensi dell’art. 2 TULPS d.p.r. 773/31, ordinando la revoca immediata dell’accoglienza di un numero imprecisato (da 100 a 269) di richiedenti asilo ospiti dei CAS dell’area metropolitana di Bologna, i quali risultano avere un ricorso pendente per il riconoscimento della protezione internazionale. Il Prefetto ha rilevato che sono presenti nei CAS 269 persone che hanno presentato ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale, per 100 delle quali “non sussistono condizioni di vulnerabilità [e] sono in accoglienza da almeno 3 anni” e dunque possono tranquillamente uscire dall’accoglienza entro 4 giorni!

Ordinanza che è manifestamente illegittima, a partire dal richiamo all’art. 2 TULPS secondo cui il Prefetto “nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.

Disposizione, risalente al periodo fascista, esaminata in più occasioni dalla Corte costituzionale che sin dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso ha subordinato l’esercizio di quel potere straordinario al rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico, indicandone i limiti: devono essere “atti amministrativi limitati nel tempo e nell’ambito territoriale dell’ufficio che li ha emanati, e vincolati ai presupposti dell’ordinamento giuridico” (Corte cost. n. 8/1956). Con successiva pronuncia la Corte costituzionale ha ribadito che “Tali provvedimenti non solo devono rispettare quei precetti costituzionali che siano inderogabili anche per il legislatore ordinario, ma devono mantenersi nei limiti dei principi dell’ordinamento giuridico dello Stato.”, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 2 TULPSin quanto attribuisce ai prefetti il potere di adottare, in caso di urgenza o per grave necessità pubblica, provvedimenti ritenuti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, senza fissare criteri idonei ad assicurare che la discrezionalità degli indicati organi amministrativi si eserciti nel rispetto dei limiti dell’ordinamento giuridico dello Stato” (Corte cost. n. 26/1961).

L’ordinanza emessa dal Prefetto di Bologna viola manifestamente i principi affermati dalla Corte costituzionale, in quanto è a tempo indeterminato e i criteri con i quali ha selezionato i richiedenti asilo da espellere immediatamente dal sistema accoglienza sono totalmente discriminatori.

L’ordinanza tenta di legittimare il gravissimo dispositivo di revoca immediata dell’accoglienza paventando problemi di ordine pubblico per l’arrivo nell’area metropolitana di Bologna (che conta ben 55 comuni) di 511 richiedenti asilo, entrati di recente sul territorio nazionale e che sono stati (o stanno per essere) inviati sul territorio nell’ambito del Piano di riparto nazionale. Ordine e sicurezza pubblica che sarebbero, dunque, minati se non liberati i posti da chi ne ha per legge diritto, “in quanto determinerebbe la presenza sul territorio di centinaia di persone non solo sprovviste di mezzi di sussistenza materiale ma anche prive di strumenti di orientamento in autonomia”.

Con un’operazione manipolatoria del principio di bilanciamento degli interessi dello Stato e dei richiedenti asilo ospiti dei CAS, l’ordinanza afferma che “risulta maggiormente adeguato disporre l’uscita dai CAS di persone che già da anni fruiscono di misure di accoglienza e che hanno visto già rigettata l’istanza di protezione internazionale in quanto capaci di orientarsi sul territorio maggiormente autonomi”.

In realtà, con questa operazione si contrappongono i richiedenti asilo e i loro diritti, quelli arrivati prima con quelli arrivati oggi, in una inaccettabile graduatoria del bisogno e nascondendo che il vero problema di ordine pubblico è rappresentato dallo Stato e dalle sue istituzioni periferiche, le quali da mesi non organizzano il sistema di accoglienza, lasciano per strada i/le richiedenti asilo, impongono mesi di attesa prima di formalizzare la domanda di protezione internazionale (comportamenti, peraltro, già stati censurati anche dalla magistratura).

Nonostante l’evidente responsabilità dello Stato, si cerca di stravolgere la realtà imputando ai nuovi richiedenti asilo criticità da esso stesso determinate e facendone strumento di espulsione dal sistema accoglienza (già di per sé inadeguato secondo gli standard europei) per coloro che sono arrivati prima e che hanno avuto l’ardire di contestare davanti al Tribunale le decisioni di rigetto della domanda di protezione internazionale. Richiedenti asilo che finiranno certamente per strada per l’incapacità o la non volontà dello Stato di tutelarli nel rispetto di precise norme costituzionali, nazionali e internazionali.

L’ordinanza del Prefetto di Bologna viola i principi ordinamentali, nazionali e europei, in quanto:

  • è la legge a stabilire il diritto del/della richiedente asilo a rimanere in accoglienza anche nelle more del ricorso proposto per avere il riconoscimento della protezione internazionale (art. 14, co. 4 d.lgs. 142/2015);
  • la Direttiva 2013/33/UE (cd. accoglienza) prevede che le misure di accoglienza possano essere disposte su base individuale, in modo “obiettivo e imparziale e motivate … e tenendo conto del principio di proporzionalità” (art. 20, par. 5) e in presenza di ipotesi tassative, tra le quali non c’è sicuramente l’incapienza (ritenuta o reale) dei posti di accoglienza;
  • la Direttiva accoglienza, infatti, prevede che nei casi, tra gli altri, di indisponibilità temporaneamente esaurite delle capacità di accoglienza, possano essere “in via eccezionale” stabilite misure di accoglienza diverse da quelle ordinarie, ma non legittima certamente la revoca totale delle stesse, tanto che stabilisce che debbano essere “per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile” (art. 18, par. 9).

Disposizioni tutte violate dall’inaccettabile ordinanza prefettizia, in cui peraltro si vuole dimenticare che:

  • I tempi di permanenza nei centri di accoglienza non dipendono dalla volontà del richiedente asilo ma dall’estrema lentezza delle Istituzioni nell’esame della domanda di protezione internazionale e nella decisione, anche in sede giurisdizionale (tempi medi: 3 anni solo per il giudizio);
  • Il reperimento di un’abitazione in tutta l’area metropolitana bolognese è notoriamente un’impresa impossibile, non solo per i/le cittadini/e italiani, ma anche e soprattutto per le persone straniere, per la prevalenza, soprattutto a Bologna, dei B&B e di un conseguente mercato dell’affitto limitato e incompatibile con le risorse di gran parte della popolazione; difficoltà che aumentano ancora di più per le persone straniere, a causa della precarietà del permesso di soggiorno in loro possesso (per richiesta asilo ma anche per i lavoratori, i quali rimangono con la mera ricevuta per un anno o anche più) e per mancanza di garanzie da parte di terzi, pretese dai proprietari.

Situazione ben nota al Prefetto, così come alle altre Istituzioni locali.

Come può pretendersi che 100 o 269 persone reperiscano in 4 giorni un’abitazione, se per mesi non sono riusciti a trovarla, non per propria incapacità ma per la descritta situazione?

Il Prefetto non può far finta di non sapere che le centinaia di persone cacciate improvvisamente dai CAS saranno costrette a vivere per strada e con il rischio anche di perdere il lavoro eventualmente in corso, con lesione dei loro diritti fondamentali e determinando sì problemi di ordine pubblico.

Si ricorda al Prefetto che secondo la Corte europea dei diritti umani “Lasciare una persona vulnerabile per strada senza alcun sostegno materiale costituisce un trattamento disumano e degradante vietato dall’articolo 3 della Convenzione” (CEDU M.S.S. c. Belgio, n. 30696/09, § 263) e ha ricordato che nemmeno un crescente afflusso di migranti può sollevare uno Stato dagli obblighi che gli derivano dall’art. 3 CEDU (M.S.S. c. Belgio e Grecia, cit. Belgio e Grecia, sopra citata, § 223; si veda anche Hirsi Jamaa e altri c. Italia, n. 27765/09, §§ 122 e 176; Khlaifia e altri c. Italia, n. 16483/12, § 184; e N.H. e altri c. Francia, nn. 28820/13, 75547/13, 13114/15, § 157).

Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che “La direttiva 2003/9 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che gli Stati membri, in caso di saturazione delle strutture d’alloggio destinate ai richiedenti asilo, possano rinviare questi ultimi verso organismi appartenenti al sistema generale di assistenza pubblica, purché tale sistema garantisca ai richiedenti asilo il rispetto delle norme minime previste da detta direttiva” (CGUE causa C- 79/13), esprimendo dunque la regola secondo cui deve essere comunque garantito ai richiedenti asilo l’accesso all’assistenza pubblica.

Alla luce di quanto sopra, ASGI chiede:

  • Al Prefetto di Bologna la revoca immediata in autotutela dell’ordinanza 29.7.2023
  • Al Comune di Bologna di farsi carico della questione indicando le soluzioni per l’accoglienza dei richiedenti asilo in arrivo nell’area metropolitana di Bologna, che comprende ben 55 comuni , evitando l’espulsione dei richiedenti asilo che già vivono nei CAS.
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