Alloggi ERP: incostituzionale la richiesta di documenti aggiuntivi e la “sopravvalutazione” della lungo residenza

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La Corte Costituzionale, con sentenza n. 9 del 29 gennaio 2021, accogliendo il ricorso proposto dal Governo, ha dichiarato incostituzionali due norme della regione Abruzzo relative all’accesso agli alloggi pubblici, affrontando questioni che in realtà riguardano le normative presenti anche in molte altre Regioni e in molti Comuni.

La prima è la nota questione dell’obbligo, posto a carico dei soli cittadini extra UE, di presentare documenti che attestino la assenza di proprietà immobiliari nei Paesi di origine e nei Paesi di provenienza. Secondo la Corte questa richiesta è “irragionevole per la palese irrilevanza e pretestuosità del requisito che intende dimostrare”, perché – prosegue la Corte – “la circostanza che qualcuno del medesimo nucleo familiare possegga, nel Paese di provenienza, un alloggio siffatto non dimostra nulla circa l’effettivo bisogno di un alloggio in Italia”.

Emerge dalle parole della Corte che oggetto di critica non è solo la pretesa “documentale” ma l’assurdità del requisito in sé stesso (non, ovviamente, che la proprietà concorra a determinare la condizione economica, ma che la proprietà – fosse anche di una casa in Bangladesh che il richiedente non potrà mai utilizzare – costituisca in quanto tale una barriera all’accesso). Sembra dunque di capire che la Corte avrebbe ben volentieri caducato anche il requisito in sé stesso della “impossidenza planetaria”:  non potendolo fare per mancata impugnazione della norma in questa parte, si è limitata a caducare l’onere di documentazione a carico degli stranieri. E in proposito ha aggiunto che tale onere, oltre che irragionevole, è anche discriminatorio, perché, se lo scopo è consentire i controlli, le difficoltà dello Stato nel verificare i  patrimoni all’estero riguardano sia gli italiani che gli stranieri.

Da tali passaggi si evince anche che il “famoso” art. 3 DPR 445/00 – del quale molti Comuni si fanno scudo per giustificare le loro richieste di “documentazione aggiuntiva” – è del tutto irrilevante e non viene neppure considerato dalla Corte nell’esame dei principi che regolano l’accesso ai servizi abitativi pubblici. Tra l’altro, su questo punto,  proprio poco prima della decisione della Consulta si era aggiunta all’elenco di decisioni conformi dei giudici di merito anche la Corte d’Appello di Firenze (in precedenza già Corte Appello Milano sul “caso Lodi” e Tribunale Milano 27.7.2020 sul regolamento della Regione Lombardia).

La seconda questione esaminata dalla Corte è se la richiesta di “documenti aggiuntivi” possa essere giustificata non più per la prova della “impossidenza” di altro immobile, ma per la dimostrazione della situazione reddituale e patrimoniale complessiva: la norma impugnata, in sostanza, introduceva per legge la “soluzione Lodi” con possibili ricadute anche per l’accesso a tutte le prestazioni sociali agevolate (mense scolastiche, trasporti ecc.). In questo caso la decisione della Corte è di infondatezza della questione di costituzionalità, ma non certo perché la Corte sposi la “soluzione lodigiana” come hanno fatto credere alcune dichiarazioni di politici abruzzesi: al contrario, la Corte riconosce la legittimità della richiesta solo a condizione che colui che chiede la prestazione, pur avendo la residenza anagrafica in Italia,  abbia il domicilio fiscale all’estero. Ovviamente il caso in cui un richiedente l’alloggio ERP o una prestazione sociale abbia mantenuto la residenza fiscale all’estero, quasi fosse un grande evasore occultato a Montecarlo, è un caso di pura fantasia e quindi di fatto anche questa norma è cancellata

La terza questione  riguarda la scelta della Regione Abruzzo di “sopravvalutare” la durata della residenza in un Comune della Regione, attribuendo un punto all’anno per ogni anno oltre i 10 fino a un massimo di 6.

La questione è di grande rilievo perché le recenti sentenze della Corte che avevano in parte rivoluzionato la giurisprudenza precedente escludendo in radice l’ammissibilità di requisiti di residenza estranei alla considerazione del bisogno (sentenze 44/2020, 281/2020, 7/2021) avevano anche lasciato spazio a una possibile considerazione della residenza non come barriera all’accesso, ma come criterio di precedenza.

Ci si poteva quindi aspettare una dichiarazione di infondatezza della questione. Ma correttamente la Corte rileva invece che non è solo la barriera all’accesso (del tipo “solo chi ha 5 anni di residenza”) a creare una distorsione nel sistema distributivo del welfare, ma anche una considerazione sproporzionata dell’anzianità di residenza. Così, se una persona lungo-residente sopravanza una persona più bisognosa ma con minore anzianità, il sistema è comunque stravolto e il principio della prevalenza del bisogno – così chiaramente sancito dalla sentenza 44/2020 – è comunque violato. E pur non essendo certo compito della Corte entrare nel dettaglio delle possibili scelte amministrative, l’esemplificazione che si legge nella sentenza indica una strada precisa:  solo la anzianità di presenza nella graduatoria è in grado di coniugare in modo equilibrato la presenza sul territorio e la valutazione del bisogno. Altre soluzioni adottate sotto la bandiera del “prima i nostri” (dove i “nostri” non sono solo gli italiani, ma tutti coloro che hanno avuto la fortuna o sfortuna di non potersi muovere da un certo luogo) non sono ammissibili.

A questo punto si apre, per tutti gli enti territoriali, il compito di mettere mano alle norme (talora  leggi regionali, talora regolamenti o  delibere di giunta) che sono in contrasto con i principi sanciti dalla Corte. Vale per  la legge regionale  del Friuli VG, per una circolare della Regione Piemonte, per bandi aperti nei Comuni di Arezzo, di Pisa e molti altri.

Probabile che prevalga la tentazione di attendere uno specifico intervento del giudice (di quello comune o della Corte Costituzionale) su ciascuna specifica norma: ma la sentenza della Corte, anche se riferita a una singola Regione,  muta il quadro normativo e i principi di riferimento e impone di agire: per  rispetto istituzionale e  per esigenze di giustizia sostanziale.

a cura di Alberto Guariso, servizio antidiscriminazione ASGI


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