AUU: prosegue la procedura di infrazione contro l’Italia

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Nel febbraio 2023, la Commissione UE ha avviato due procedure di infrazione contro l’Italia in relazione al requisito dei 10 anni di residenza richiesti per beneficiare del reddito di cittadinanza e 2 anni di residenza per usufruire dell’Assegno Unico Universale. A distanza di 10 mesi, il governo italiano non si è conformato alle richieste e potrebbe subire una condanna da parte della Corte di Giustizia.

Ieri la Commissione ha deciso di inviare un parere motivato all’Italia (INFR(2022)4113) “per il mancato rispetto delle norme dell’UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale (regolamento (CE) 2004/883) e di libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea)”.

L’Assegno Unico Universale è una misura di sostegno alle famiglie riservata a coloro che risiedono da almeno due anni in Italia (o che svolgono regolare attività lavorativa), e solo se vivono nello stesso nucleo familiare dei figli. 

Secondo il parere della Commissione, questa normativa viola il diritto dell’UE, “in quanto non tratta i cittadini dell’UE in modo equo, e pertanto si qualifica come discriminazione.”

Il parere motivato fa infatti seguito a una lettera di costituzione in mora inviata all’Italia nel febbraio 2023. La Commissione ritiene che la risposta del Governo italiano non sia adeguata alle eccezioni sollevate: l’Italia ora ha due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie. In caso contrario, la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

ASGI, esprime soddisfazione per questo risultato in quanto ha da sempre denunciato la contrarietà al diritto UE del requisito di anzianità di residenza biennale sul territorio nazionale o regionale. Tale requisito colpisce infatti in misura proporzionalmente maggiore i cittadini provenienti da altri Stati membri dell’UE che esercitano il diritto alla libera circolazione, con ciò continuando a determinare una discriminazione ‘indiretta’ o ‘dissimulata’ nei loro confronti in quanto la disparità di trattamento così introdotta non appare sorretta da finalità obiettive estranee alla nazionalità, ma anzi risponde esplicitamente alla finalità di privilegiare coloro che dispongano di  un maggiore radicamento sul territorio locale nella destinazione degli interventi di welfare, fondando dunque una gerarchia basata sul grado di “autoctonia” delle persone, evidentemente inconciliabile con i fondamentali principi di uguaglianza e di libertà di circolazione e soggiorno.
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