L’integrazione e la riuscita scolastica degli alunni immigrati non si persegue con le classi-ponte. ASGI : necessarie misure di orientamento e supporto durante i percorsi scolastici ordinari.

Tipologia del contenuto:Comunicati stampa

La creazione di ‘classi-ponte’, anche solo temporanee, all’interno dell’ordinario orario scolastico, riservate a soli alunni stranieri  e dunque alternative  e differenziate rispetto a quelle ordinarie, non è un’azione positiva volta ad agevolare l’inserimento e la riuscita  scolastica degli alunni immigrati, ma puo’ piuttosto esserne di detrimento e costituire pertanto una misura discriminatoria.

Lo dichiara l’ASGI che esprime serie perplessità per la scelta di un istituto scolastico di Bologna di creare una classe separata formata da soli alunni stranieri.

La previsione della formazione di classi sulla base del criterio di nazionalità può contribuire al rafforzamento tra gli insegnanti e i genitori innanzitutto, ma anche nella società nel suo complesso, dello stereotipo dell’alunno straniero come fonte di difficoltà per la realizzazione del percorso educativo, sottostimandone le effettive potenzialità individuali, con effetti negativi per la formazione dei meccanismi dell’autostima e della fiducia in sé.

Appare inoltre infondato l’argomento per cui tali classi di soli alunni stranieri favorirebbero una più agevole processo di apprendimento della lingua italiana, in quanto proprio la condizione di separazione dagli alunni italiani priverebbe gli alunni stranieri delle potenzialità dell’educazione alla lingua italiana nei rapporti tra pari, lasciando l’insegnante  come unico riferimento.

Una segmentazione  e segregazione dei percorsi educativi finisce per accentuare e riprodurre tra le generazioni le diseguaglianze economiche e sociali : lo dimostrano gli studi sociologici e le esperienze di altre scuole in Italia e negli Paesi europei .

Una maggiore integrazione e riuscita scolastica degli alunni immigrati deve essere perseguita con misure positive di supporto all’alfabetizzazione e all’orientamento pedagogico, anche con riferimento al rapporto tra scuola e genitori degli alunni immigrati, garantendo la piena  integrazione degli alunni immigrati con i loro coetanei  italiani nei regolari percorsi educativi e assegnando, nel contempo, adeguate risorse per realizzare programmi  ed iniziative ‘aggiuntive’ extracurriculari.

La riduzione, se non la vera e propria eliminazione, dei fondi scolastici per  i progetti di sostegno, non può essere una giustificazione per relegare i minori stranieri, anche di primo arrivo, in classi ghettizzanti, dovendo essere garantita a tutti i minori una parità di trattamento.

Si auspica che la vicenda di Bologna possa suscitare nel paese una riflessione più generale sul rapporto scuola-società-immigrazione, per giungere ad un  reale cambio di prospettiva, passando dall’interrogativo che normalmente ci si pone: “Perché gli alunni figli di immigrati hanno una minore riuscita scolastica?” a quello, invece, più pertinente: “Perché l’istituzione scolastica non riesce ad assicurare la mobilità sociale di tali alunni?”
 
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