Assegno sociale e rientro temporaneo in patria: illegittima la pretesa di restituzione

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Due recenti pronunce (Tribunale di Brescia, 4 agosto e Tribunale di Arezzo, 13 luglio)  hanno affrontato la questione della sospensione dell’assegno sociale e della conseguente pretesa di restituzione da parte dell’INPS  di quanto percepito per gli stranieri che rientrano temporaneamente in patria.

Entrambe le decisioni  giungono alla medesima conclusione: rientri temporanei non giustificano nè la sospensione nè la pretesa di restituzione se il centro di interessi e la residenza anagrafica rimangono in Italia.

Ai requisiti menzionati dall’art. 3 comma 6 della legge n. 335 del 1995, l’art. 20 comma 10 della legge n. 133 del 2008, applicabile alle domande di assegno sociale presentate dopo l’1.1.2009 aggiunge l’aver soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale (si legga qui il commento di Alberto Guariso in merito alla recente pronuncia della Corte Costituzionale e l’illegittima esclusione di determinate categorie di alcuni cittadini stranieri).

Laddove questi presupposti siano soddisfatti dal soggetto titolare del beneficio, nessuna diversa valutazione può essere fatta dall’Inps, posto che la legge fa riferimento a un accertamento legale che compete all’ufficiale di stato civile. In assenza di diversa determinazione da parte di detto ufficio, l’Inps non può che prenderne atto.

Ma quand’anche si potesse attribuire all’Inps il potere di effettuare un’autonoma valutazione indipendente dalle risultanze degli ufficianagrafici, la conclusione non cambierebbe.

E infatti ai sensi dell’art. 43 del c.c. la residenza “è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale” e sussiste, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in presenza “dell’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dell’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali” (Cass. n. 25726 del 2011; Cass. Sez. I, sent. n. 16525 del 5 agosto 2005; Cass. Sez. I, sent. n.4525 del 6 luglio1983).

Risultando oltremodo gravoso subordinare il mantenimento della residenza della persona alla sua ininterrotta presenza in quel luogo è sufficiente che, nonostante momentanei allontanamenti dovuti ad esempio a motivi di lavoro, salute, o villeggiatura, la stessa “conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali” (Cass. Sez. II, sent. n. 1738 del 14 marzo1986).

Alla luce di queste considerazioni, e in mancanza di un’espressa indicazione legislativa in tal senso, appare del tutto illegittima la determinazione dell’INPS che con il messaggio del 4 giugno 2008 e e la circolare del 2 dicembre 2008 n. 105 aveva escluso  la sussistenza della residenza (ai fini dell’erogazione dell’assegno sociale) nel caso in cui il richiedente si allontani dal territorio italiano per un periodo superiore al mese.

Interpretando il requisito dell’effettiva residenza come presenza costante che ammette soluzioni di continuità solo se di durata inferiore o pari al mese, l’INPS, come riconosciuto dalla due recenti pronunce, di fatto introduce un requisito ulteriore e non previsto –e quindi non voluto- dal legislatore e che non ha il potere di introdurre.

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